In questo romanzo che raccoglie un po’ tutti i clichè della narrativa gotica (la bella, il bruto, la fuga) troviamo la caratterizzazione tipica degli europei in base alle loro peculiarità nazionali e una considerazione forse troppo semplicistica di distanze ed estensioni del Vecchio Continente. Intatto rimane il fascino esercitato dai paesaggi europei, in questo caso rappresentati da una cittadina della Costa Azzurra.

La cittadina cui la Alcott fa riferimento in questo passo è Valrose, o meglio Chateau de Valrose, sita vicino Nizza che all’epoca in cui fu scritto il romanzo, era annessa al territorio dello Stato italiano.

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A un miglio di distanza le azzurre acque del Mediterraneo venivano a lambire l’arco della costa, lungo cui sorgeva la città delle mura bianche con le sue cupole dorate, le sue palme piumose e le belle ville. Valrosa era la più bella di tutte; un vero “nido di rose”, che fiorivano rigogliose anche in gennaio in quel clima di eterna estate. Rose pendevano dall’arco d’ingresso e protendevano le loro corolle vellutate attraverso le sbarre del grande cancello, inducendo tutti i passanti a fermarsi e a desiderare di entrare nel giardino. Rose bordavano il viale che saliva serpeggiando fra piante di aranci e di limoni fino all’ampia terrazza che girava intorno alla villa. Rose coprivano i suoi muri di fiori, ornavano ogni cornicione, si arrampicavano su ogni colonna e crescevano a profusione sulla balaustra. Ogni angolo verde, dove comode panchine invitavano a sedersi e a sognare, era una massa di fiori; ogni fresca grotta aveva la sua ninfa bianca che sorrideva attraverso un velo di fiori; ogni fontana era circondata di bellezza; e dovunque si volgeva, l’occhio si posava su una bella e profumata fioritura.

(Ed. N&C, Roma, 1996, p. 47).