Laura Cereta, intellettuale e scrittrice rinascimentale. Un carattere volitivo al servizio dello studio e della conoscenza. Umanista e femminista ante-litteram.

Laura Cereta un nome purtroppo poco conosciuto ai più ma che ha lasciato un segno nella storia delle donne, e non solo in quella della letteratura. Conosciuta anche con il cognome Cerreta o Cereto, è stata un’umanista e scrittrice italiana del periodo rinascimentale.

Nata in un’illustre famiglia bresciana a detta di alcuni, tra cui Anna Maria Mozzoni, sembrerebbe sia stata fra le prime donne ad aver insegnato filosofia.

Nei rarissimi ritratti giunti fino a noi Laura Cereta si presenta con un’espressione assorta, il sopracciglio sinistro alzato come a dichiarare un dubbio.

Infatti era una pensatrice, un’intellettuale ma, sopratutto, una studiosa. La maggior parte dei suoi scritti consiste principalmente in missive destate ad altri intellettuali dell’epoca.

Laura Cereta, un destino di studio e conoscenza

Laura Cereta nasce a Brescia nel 1469, all’interno di un’antica e illustre famiglia bresciana, primogenita di sei figli da Silvestro Cereta, procuratore e magistrato del Re e Veronica di Leno, famosa affarista. E cresce purtroppo malata soffrendo di una fastidiosa forma di insonnia.

All’età di sette anni viene inviata in convento, dove impara a leggere, scrivere, ricamare e le basi del latino. Per uscirne a nove anni correndo il rischio che la sua preparazione si potesse arresta. Cosa che non avvenne grazie alla lungimiranza del padre.

Silvestro Cereta, oltre a credere nell’educazione delle donne, cosa già di per sé all’avanguardia per il periodo, intuisce nella figlia Laura una curiosità e una viva intelligenza. Così decide di farsi carico personalmente della sua educazione culturale. La introduce così alla letteratura greca e latina, alla matematica, all’astrologia, alle Sacre Scritture e alla filosofia che, sembra, diventi la disciplina preferita da Laura.

A soli quindici anni Laura Cereta sposa un mercante veneziano, tale Pietro Serina, un altro uomo, come il padre di lei, decisamente avanti. Infatti con la moglie il Serina condivideva l’amore per l’apprendimento.

Un matrimonio, il loro, apparentemente felice, nonostante i continui litigi. Ma un matrimonio destinato a concludersi troppo presto. Pietro Serina, infatti, muore di peste pochi mesi dopo le nozze.

Laura Cereta rimarrà sola, senza figli e non prenderà mai più marito.

Le vane speranze nella produzione letteraria

Quando la gestione della casa ricade sulle sue spalle Laura Cereta cambia le proprie abitudini. Le ore del giorno diventeranno quelle dedicate agli impegni domestici e quelle della notte ai suoi studi, che comunque non intende abbandonare.

Con l’intenzione di entrare a far parte dei circoli intellettuali si cimenta in un’erudita produzione in latino. E verrà notata grazie a un curioso dialogo dedicato a un asino morto, Asinarium funus oratio.

Le sue speranze, però, sono riposte nell’epistolario Epistolae Familieares composto da ottanta missive, un insieme di lettere inviate a familiari e intellettuali (personaggi reali e di fantasia), fatto circolare manoscritto tra il 1488 e il 1492. Speranze riposte invano perché l’opera vedrà le stampe postuma, solamente nel 1640.

Così la Cereta comincia a tenere conferenze di filosofia all’Università di Padova. Dove sembra abbia insegnato per diversi anni.

Laura Cereta, volitiva, contraddittoria e criticata

Di carattere volitivo ma contraddittorio, Laura Cereta sarà una ferrea sostenitrice di una vita all’insegna della virtus e della dedizione agli studi.

Intreccia scritti d’occasione (felicitazioni, scuse, ringraziamenti, ecc.) a testi dal sapore decisamente più umanistico.

La sua produzione infatti si compone anche di lettere che parlano della morte, della guerra, del destino e del dolore.

Verrà addirittura sospettata di mentire.

Sulla sua produzione aleggerà il sospetto che lei non sia la reale autrice delle missive che invia, essendo, per l’epoca, una cosa inconsueta che una fanciulla potesse padroneggiare il latino con tanta abilità.

Criticata sia da uomini che da donne per la sua esibita sicurezza in se stessa, Laura Cereta si difende in modo energico dagli attacchi dimostrando costantemente le sue qualità.

E lo farà anche con l’aiuto della sua vis corrosiva, che ha come bersaglio privilegiato la condizione femminile dell’epoca.

Attaccando anche le donne che, per loro stessa volontà, riducono la loro autonomia accondiscendendo al volere dell’uomo. Donne che accettano l’abuso di un uomo che approfitta apertamente della loro condizione di sottomesse.

Laura non risparmia il suo attacco nemmeno a questo genere di uomo, che non solo approfitta di una condizione che lui ritiene di superiorità ma che critica in modo sprezzante quelle donne, come Laura, che, al contrario, scelgono di dar lustro alla propria intelligenza e alla propria cultura.

Arriva addirittura a polemizzare l’opera del Boccaccio, maggiormente celebre all’epoca, De mulieribus claris, considerata la più significativa e autorevole in merito alle raccolte di vite di donne celebri.

Volendo dimostrare la sua tesi, cioè che le donne eccellenti non sono dei monstra, bensì costituiscono un vero e proprio prestigioso lignaggio, la Cereta offre un corposo elenco, che include tanto nomi mitologici, quali Saba, regina d’Etiopia e Manto, figlia di Tiresia, quando contemporanei, come Isotta Nogarola o Cassandra Fedele.

Laura, inoltre, sostiene che la natura fornisce la libertà di apprendere a tutti, indipendentemente dal sesso, a patto che desiderino farlo sul serio, intraprendendo un cammino di conoscenza e rettitudine.

Laura Cereta, una femminista ante-litteram

Anche se non viene dimostrata una conoscenza diretta tra Cristina di Pizan e Laura Cereta, sembra, come ha evidenziato Diana Robin, che i punti di contatto tra le riflessioni della Cereta e La città delle dame siano molteplici.

Le riflessioni su questi temi, però, sono da ascrivere a un filone che, nei secoli successivi, vedrà impegnate con maggior sistematicità anche Moderata Fonte, Lucrezia Marinelli e Arcangela Tarabotti.

Un’intellettuale femminista ante litteram, così si potrebbe definire Laura Cereta.

Nelle sue opere difende principalmente i diritti all’educazione delle donne.

Disquisisce sui contributi che le donne hanno dato nell’ambito politico, culturale, storico e nella vita intellettuale. Senza dimenticare la sua strenua lotta contro l’oppressione delle donne sposate, condizione piuttosto comune all’epoca.

Fortemente ispirata all’esempio del Petrarca ricerca l’immortalità nella scrittura.

Sugli ultimi anni di vita di Laura Cereta non ci sono testimonianze troppo chiare. E le fonti riportano notizie discordanti e vaghe.

Qualcuno sostiene sia entrata in un ordine religioso ma il fratello Daniele, anche lui apprezzato umanista, riferisce, in un suo poema, che Laura stesse diventando poetessa.

Però di una sua eventuale produzione di scritti durante gli ultimi dieci anni di vita non resta traccia fino a noi. E il resto della sua produzione, in ogni caso, non ha visto traduzione in inglese prima del 1997, quasi cinquecento anni dopo la sua morte.

Una morte che l’ha sorpresa a soli trent’anni, nel 1499, sembrerebbe per cause misteriose. A seguito della quale verrà sepolta a Brescia, nella chiesa di San Domenico.