Sarà per formazione, o deformazione, di una parte dei miei studi, ma trovo sempre molto interessante la valorizzazione di quei frammenti di storia e vissuto che si centrano sulle donne, e a volte cerco deliberatamente le “quote rose” che hanno lasciato il segno nella storia di un luogo. E devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita quando in uno degli info point di Bologna, tra le brochure in bella vista in vetrina che suggerivano il variegato ventaglio di proposte di itinerari per conoscere la città, ne ho visto uno dal titolo: “Donne all’ombra delle Due Torri”. La curiosità ha preso a braccetto la fascinazione della “studiosa” dell’ambito e ho preso la brochure dalla quale mi guardava una dama dal viso di porcellana ritto sulla gorgiera di raffinato pizzo, il dettaglio di un ritratto della famiglia Gozzadini, eseguito dalla pittrice seicentesca bolognese Lavinia Fontana.

Ho deciso così di seguire il percorso suggerito, toccandone alcune tappe, e ricalcare i passi di quelle donne hanno intrecciato la loro vita alla storia della città, spinte dalla passione per l’arte, per il sapere, per la libertà e la giustizia. Incomincio muovendo i primi passi in piazza Maggiore, il cuore del centro storico di Bologna, circondata nell’abbraccio di alcuni degli edifici più significativi. Di fronte si erge la Chiesa di San Petronio, tra le più care chiese ai bolognesi, è la sesta in Europa per grandezza, e domina la piazza principale con la sua singolare facciata incompiuta nei rivestimenti che mostrano così il livello in basso ricoperto dalle specchiature marmoree mentre la parte superiore metet in vista il laterizio dal profilo sfaccettato. Qui, su piazza Maggiore, in pieno Medioevo, – leggo sulla mia brochure – camminarono Bettisia Gozzadini, Novella d’Andrea e Margherita Legnani, donne di cultura, esponenti di illustri casati; celebri furono le loro lezioni impartite agli studenti universitari, con tutte le difficoltà del caso, dovendosi destreggiare in un ambiente prettamente maschile: la giovane Bettisia, laureata in giurisprudenza nel 1236, si vestì per molti anni da uomo; Novella teneva le sue lezioni coperta da un velo; Margherita insegnava affacciandosi da una finestra.

Usciamo dalla piazza, costeggiando il palazzo di Re Enzo e passando sotto le Due Torri, simbolo della città sulla quale svettano signore incontrastate, prendiamo via Zimbalo. Una sosta prima nella Chiesa di San Giacomo Maggiore, dove in un affresco della Cappella Bentivoglio che ritrae tutti gli esponenti della nobile famiglia che ha governato la città, all’inizio del Cinquecento prima che papa Giulio li cacciasse da Bologna. La pittura mostra oltre Giovanni II Bentivoglio, sua moglie Ginevra Sforza e i loro sedici figli: quello di Ginevra con Giovanni (seconde nozze per lei) non fu uno dei tanti matrimoni di convenienza, ma un vero e proprio sodalizio, lavorando fianco a fianco per consolidare e far crescere il potere della casata. Una determinazione caparbia che le procurò fama di cospiratrice e mandante di orribili delitti, come raccontano di lei i cronisti dell’epoca.

Se proseguiamo su via Zamboni raggiungiamo il Museo di Palazzo Poggi, custode ancora oggi della maestria di Anna Morandi Manzolini. Nativa della Bologna del XVIII secolo, studiò scultura e disegno e in questi ambienti incontrò il marito Giovanni Manzolini, anatomista e ceroplasta. Quando si ammalò di depressione fu la moglie a prenderne il posto aiutandolo nella dissezione dei cadaveri e nella riproduzione in c’era delle parto anatomiche; e quando al marito di diagnosticata la tubercolosi, ottenne il permesso di insegnare in sua vece. Nel 1755 fu nominata dal Senato di Bologna modellatrice di cera presso la Cattedra di Anatomia dell’Università e le casse delle sue cere anatomiche arrivarono ovunque negli ambienti accademici europei. Nel busto in cui si rappresentò tiene un cervello in mano: Anna ne intuì la centralità per il funzionamento del corpo umano e l’importanza del sistema nervoso per la trasmissione degli impulsi ai muscoli.

Ripiegando nuovamente verso il cuore del centro storico, passiamo nella suggestiva piazza dove l’incanto delle Sette Chiese non può fare a meno di richiamare l’attenzione dei passanti, e su questa piazza affaccia palazzo Bolognini, al civico 11, i cui magnifici capitelli sono attribuiti a Properzia de’ Rossi, la prima “sculpitrice” della storia. Lei, nativa della Bologna di inizio Cinquecento, dove visse e lavorò, fu un personaggio estroso e indomabile, passando con disinvoltura dallo scolpire blocchi di marmo al decorare i noccioli di pesca; perfino Vasari, spesso avaro di considerazione verso gli artisti bolognesi, rimase affascinato dalla personalità della “femmina scultora” e ne descrisse la vita, pieno di lodi e ammirazione, anche perché se pochissime erano le donne pittrici, in un mondo declinato al maschile, nessuna prima di lei si era dedicata alla scultura.

Da Santo Stefano, il percorso ci spinge subito altrove, alla Basilica di San Domenico, dove alcune testimonianze rimandano alla memoria della perizia artistica di mani femminili: Lavinia Fontana ed Elisabetta Sirani. La prima, figlia del noto pittore Prospero Fontana, pare avesse posto come condizione prima del matrimonio di poter continuare a dipingere e il marito, il pittore Gian Paolo Zappi, le prestava addirittura il proprio aiuto nella realizzazione degli abiti dei personaggi da lei dipinti. Sue sono alcune opere in diverse chiese cittadine e nel Museo Davia Bargellini, ma a San Domenico lei realizza “Gesù tra i Dottori” e “L’incoronazione della Vergine”. Sempre nella stessa basilica, nel 1655, furono celebrati i funerali della giovane Elisabetta Sirani, morta due mesi e mezzo prima ma sepolta solo dopo lunghissime indagini, dato il presunto avvelenamento di cui fu probabilmente vittima e che vide indagati l’allieva Ginevra Cantofoli, il padre e una domenica, ma alla fine le accuse furono archiviate e il decesso attribuito a una peritonite. Elisabetta, anche lei figlia d’arte, fu un’artista di rara sensibilità e seppe circondarsi di molte allieve che proseguiranno la professione. La sua sepoltura è, assieme a quella di Guido Reni, nella Cappella del Rosario.

Sull’acciottolato della piazza antistante la basilica fu arsa Gentile Budriola. Nata in una rispettabile famiglia e sposata a un notaio, fu tra gli allievi più promettenti di Scipione Manfredi, noto Maestro di astrologia dell’Università di Bologna, e apprese i segreti delle erbe dal francescano Frate Silvestro: passò alla storia come Strega Enormissima. Fu stimata da tutti e a lei si rivolsero gli esponenti delle famiglie notabili della città per ottenere medicamenti e fu scelta come consigliera di Ginevra Sforza. La sua notorietà le causò però invidie e, dopo orrende torture, fu messa al rogo nel 1498. Lei visse nel Tesoretto, che fa ancora bella mostra di sé – e che nel nostro giro raggiungiamo – in via Portanova.

Da qui ritorniamo verso piazza Maggiore, nei pressi della quale – in piazza Luigi Galvani – non può mancare una capatina all’Archiginnasio, sede della più antica Università. Si vieni colti da stupore nel seguire il portico del piano terra, gli scaloni e i corridoi del piano superiore, rivestiti da stemmi e memorie scolpite e dipinti che ricordano gli studenti e docenti che hanno camminato in questi luoghi, trasmesso il sapere e prodotto nuovi ingegni. E anche questo è un luogo che vede, forse troppo fugace, il passaggio del gentil sesso. Al primo piano, accanto all’ingresso del Teatro Anatomico, troviamo l’unica opera dell’Archiginnasio realizzata da un’artista donna: si tratta della “memoria” Muratori, visibile purtroppo solo per alcuni frammenti poiché danneggiato dai bombardamenti e da un restauro successivo: l’opera fu dipinta nel 1707 da Teresa Muratori su incarico del padre per rinnovare un più antico monumento in onore degli antenati.

E concludiamo la nostra passeggiata per questa insolita Bologna al femminile entrando proprio nel Teatro Anatomico, la sala dell’ateneo destinata alle lezioni di anatomia. Aggiriamo il tavolo di marmo dove venivano praticare le prime dissezioni sui cadaveri, posto al centro del teatro in legno, e davanti alla cattedra, in una teca, troviamo esposti alcuni documenti che ci richiamano alla presenza di una donna tra gli uomini di scienza dell’Università di Bologna: Laura Caterina Bassi, la prima a laurearsi nel 1732 nell’antico Studio, e a soli ventuno anni tenne la sua prima lezione come docente universitaria.
Seduta su quei sedili lignei, ricostruiti fedeli all’originale dopo la distruzione seguita alla Seconda Guerra Mondiale, si può riprendere un po’ di fiato dopo la lunga camminata e lascirsi andare al pensiero di quelle donne che secoli addietro hanno calcato i luoghi visitati e che, con le loro difficoltà contro i pregiudizi della loro epoca e il coraggio e la caparbietà dimostrata nell’affrontarli hanno aperto la via d’accesso all’arte, allo studio e alle professioni per le donne di oggi.

Sara Foti Sciavaliere