Una raccolta davvero sorprendente di lettere che mostrano, senza filtri e ipocrisia, gli entusiasmi e i momenti tristi di una ragazza nel pieno della sua giovinezza. E si tratta di una ragazza fuori dal comune: Virginia Woolf, raccontata da Nadia Fusini per Utet edizioni.
Sembra di sbirciare dal buco della serratura di quella che è la vita privatissima della giovane Virginia Stephen e nei suoi pensieri più intimi. Conquista con la sua simpatia per come sa essere spiritosa nelle lettere del primo periodo, divertente e divertita dalle sue amicizie e conoscenze le cui idiosincrasie e peculiarità coglie con sguardo irriverente, spesso ricorrendo a somiglianze e similitudini zoomorfe.
Ricorda un altro epistolario dove l’ironia sempre vigile interviene puntualmente a salvare dall’autocommiserazione e l’intelligenza vivida è pronta a colpire a ogni giro di frase. Anche Jane Austen riserva la stessa vena caustica ai difetti altrui e per il cambio di tono che dall’esuberanza giovanile passa attraverso le dure prove della vita stemperandosi in malinconico-crepuscolare, rimanendo sagace. Anch’ella si rivela una corrispondente esigente, che riesce a scrivere e a toccare svariati argomenti con la stessa velocità con cui ne discorrerebbe a voce, e che infine, diventa esperta dell’arte della composizione epistolare:
Una lettera dovrebbe essere limpida come una pietra preziosa, uniforme come un guscio d’uovo, e trasparente come vetro.
Molto interessante è scoprire e seguire anche i primi passi mossi nella sua carriera da scrittrice a cominciare dall’amore spasmodico per i libri e lo studio, passando per le recensioni e all’insegnamento, fino ad approdare alla tanto sospirata e faticosa scrittura.
Desidero tanto una grande stanza tutta per me, piena di libri e nient’altro, in cui possa rinchiudermi, senza vedere nessuno e leggere fino a calmarmi completamente.
Risulta incredibile assistere alle stesse incertezze e paure che assalgono una scrittrice alle prime armi, la ricerca continua di pareri e rassicurazioni, come quando domanda all’amica Violet Dickinson:
Nessuno s’interessa molto -e perché dovrebbe?- a quel che scribacchio. Credi che arriverò mai a scrivere un libro veramente buono. Ad ogni modo, me la cavo decisamente meglio di prima, anche se ci sono ancora zone tremendamente scoperte e sterili.
Capace di grandi slanci e profondi affetti, tradisce il suo fortissimo bisogno di sentirsi amata, abbarbicandosi come un’edera ai rapporti interpersonali che tesse con lettere dall’ammiccante tono confidenziale. Lucida fino alla follia, cammina in bilico sul filo della consapevolezza lasciandosi cadere ogni tanto:
Il mondo degli esseri umani va facendosi troppo complicato, mi meraviglio soltanto che non si riempia di un maggior numero di manicomi: molte cose, nella visione della realtà dei folli, sono condivisibili. Dopo tutto è forse quella la visione equilibrata, e noi, tristi, assennati e rispettabili cittadini, non facciamo che delirare ogni istante della nostra vita, e meriteremmo d’esser rinchiusi per sempre. Con questo caldo la mia melanconia primaverile matura, e diventa follia estiva.
Il forte legame coi fratelli, il sodalizio culturale instaurato al n. 46 di Gordon Square di Bloomsbury, i viaggi in Europa, i soggiorni estivi al mare, suo grande amico.
Scrive dalla pensione della signora Turner a Giggleswick nello Yorkshire:
La mia vita qui è d’una austerità da Grecia antica, bellissima: potrebbe entrare, pari pari, in un bassorilievo. Come puoi immaginare, non mi alvo mai, e non mi pettino; percorro la brughiera selvaggia a passi enormi; declamo odi di Pindaro, balzando di roccia in roccia; esulto nell’aria che un po’ mi schiaffeggia e un po’ mi accarezza, come un padre severo ma affettuoso! Una specie di Stephen brontizzata quasi bella come l’originale.
Assillata dai discorsi di matrimonio che la cerchia di parentele e conoscenze dalla morte di Thoby va facendo nemmeno tanto velatamente, affinché si sistemi, la rendono nervosa e irritabile:
Tu almeno non sei costretta a batterti con oscene vecchiacce e signorine dai becchi grondanti di sangue che ti consigliano di sposarti. Da sei mesi a questa parte è questa la mia penitenza.
Rifiuta diverse proposte per poi accettare con straordinari disincanto e sincerità, quella di Leonard Woolf:
Gli ovvi vantaggi del matrimonio mi impediscono di prendere una decisione. Mi dico: in ogni caso con lui sarai abbastanza felice, ti darà la sua amicizia, dei bambini, una vita attiva -ma poi mi dico anche: per Dio, mi rifiuto di fare del matrimonio una vera professione. … non so cosa ci porterà il futuro. Ho quasi paura di me stessa… Dunque un momento son quasi innamorata, voglio che tu sia sempre con me, sappia tutto di me, e un attimo dopo sono selvatica e distante. A volte penso che sposandoti avrei tutto… ma poi… Ci sono dei momenti -l’altro giorno quando mi hai baciata per esempio- in cui non sono più sensibile di un sasso. Eppure son quasi sopraffatta dall’affetto che mi dimostri. E’ una cosa così concreta, strana. Perché dovresti volermi bene?
Purtroppo il finale lo conosciamo tutti, con la sua immensa tristezza. Per fortuna nel mezzo ci sono stati i suoi romanzi indimenticabili con cui ci ha lasciato la parte migliore di sé.
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L'ha ribloggato su I piaceri della lettura.
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