GentileTra gli episodi più dibattuti e controversi della storia italiana nel periodo della seconda guerra mondiale vi è la drammatica uccisione del filosofo Giovanni Gentile. Se gli esecutori materiali sono stati identificati con ragionevole certezza negli appartenenti a un gruppo gappista (e va ricordato che il delitto fu esplicitamente rivendicato dal Pci fiorentino), sui reali mandanti dell’esecuzione e sulle sue motivazioni politiche e strategiche si è dibattuto a lungo.

La questione è al centro del dettagliatissimo volume di Luciano Mecacci, dal suggestivo titolo La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile (Adelphi 2014). In effetti “Ghirlanda fiorentina” era il titolo di una sorta di taccuino-antologia elaborato dallo scozzese John Purves: un italianista molto noto nel mondo accademico anglosassone, nonché agente dei servizi segreti britannici, che si era recato in Italia nel 1938 con il compito di individuare quali fossero gli antifascisti tra i maggiori intellettuali italiani. E la pista dei servizi segreti inglesi come mandanti occulti dell’uccisione è una delle più battute dagli storici che si sono occupati dell’argomento.

ghirlandaMecacci non si limita peraltro a esaminare criticamente gli indizi disponibili che potrebbero avvalorare un intervento dell’intelligence inglese, ma analizza anche numerose altre ipotesi sui possibili mandanti: da quella che suggerisce un coinvolgimento degli azionisti a quella che focalizza l’attenzione sugli intellettuali comunisti, dalla pista dei servizi segreti americani fino a quella che individuerebbe i responsabili dell’esecuzione addirittura nel gruppo fascista di Alessandro Pavolini e della “banda Carità”. Una ridda di ipotesi fra cui Mecacci si districa con abilità, utilizzando una cospicua mole di documenti (spesso poco noti) e chiarendo con precisione sia i punti deboli delle varie ipotesi, sia gli indizi che potrebbero invece avvalorarle.

Ne emerge un quadro non solo dei personaggi e dei gruppi che potrebbero essere legati allo specifico episodio della morte di Gentile, ma più in generale del complesso intreccio di fattori politici e ideologici che in quel momento della storia italiana si incontravano e si scontravano. Né manca un’analisi delle reazioni all’avvenimento, alcune delle quali comprensibili (ma non giustificabili) solo alla luce del contesto storico: è il caso di Antonio Banfi che, dopo aver ricevuto da Gentile anche favori personali, nel maggio del 1944 lo descriveva come “rozzo e incolto”, come “un’anima mediocre”; oppure di Togliatti, che all’indomani dell’uccisione definì Gentile sull’Unità un “camorrista” e un “corruttore di tutta la vita intellettuale italiana”.

Il libro di Mecacci offre dunque un interessante spaccato della storia politica e intellettuale italiana in uno dei momenti più importanti e difficili della nostra storia nazionale.