Quando nella prefazione di Marisa Sestito al romanzo Agnes Grey, ho letto che una parte della critica ha stabilito una certa somiglianza tra Anne Brontë e Jane Austen, sono rimasta a tutta prima, incredula. Non mi venivano forniti altri elementi se non un generico riferimento alla stessa “sostanziale onestà nel raccontare”.
Unite dallo stesso destino. Ma temo che questa caratteristica individuata sia riduttiva per entrambe e possa comunque fornire lo spunto per azzardare paragoni più o meno fondati o anche solo “impressionistici” che però in questo frangente vorrei lasciare ai più esperti.
Io ho invece iniziato a pensare alle due diverse scrittrici, ai loro mondi e substrati socioculturali così distanti, eppure anch’esse figlie, anch’esse sorelle, giovani, malate ed effettivamente accomunate dalla stessa prematura scomparsa. Le rispettive biografie registrano infatti che Jane Austen morì a Winchester, e il18 luglio, ricorre l’anniversario della sua dipartita. Anne Brontë morì a Scarborough (il 28 maggio 1849) dove si recò insieme alla sorella Charlotte (e a Ellen Nussey) e morì consunta dalla tisi. Anne aveva cercato nell’aria di mare un sollievo ai suoi gravi problemi respiratori mentre per Jane si pensava che l’illustre medico, Dr. Lyford, residente nella località citata, avrebbe potuto trovare una cura miracolosa per gli strani disturbi che la affliggevano.
Sebbene colpite da malattie molto differenti, ma entrambe gravissime, provarono a resistere, ricorrendo magari a piccoli espedienti che non le facessero rinunciare del tutto alle loro amate abitudini. Ed è qui che sono rimasta quanto mai colpita dalla singolarità del comune mezzo usato per prendere aria e farsi condurre ad una passeggiata: tutte e due attraverso un calesse trainato da un asinello.
Priva di energie, Anne trascorse le sue giornate guardando il mare, come scrive la Sestito:
“Forte e solitaria come Emily tacitava le loro ansie, tentando in ogni modo di preservare l’autonomia; sino all’ultima mattina quando, dopo essersi vestita, in cima alle scale che la portavano in salotto ebbe paura e turbata chiese aiuto. Alle undici volle vedere un medico per sapere se partendo subito poteva arrivare a casa viva. Le rispose di no. Quando fu troppo debole per rimaner seduta a guardare il mare, la misero sul divano dove, alle due del pomeriggio di quel lunedì 28 maggio, morì, esortando Charlotte a farsi coraggio. A Scarborough, dove volle essere sepolta, rimane la sua lapide [1]“.
Toccante brano che riporta alla mente le stesse circostanze in cui è avvenuta la morte di Jane Austen, a Winchester, nella cui cattedrale è stata sepolta, lontana da casa, così come Anne, la cui tomba si trova al Saint Mary’s Churchyard.
Loro uniche infermiere e compagne fino all’ultimo furono le sorelle maggiori: Cassandra per Jane e Charlotte per Anne. Ellen Nussey, che accompagnava le sorelle Brontë, ci racconta che fu Anne a fare coraggio a Charlotte[2] poco prima di passare, “senza un sospiro, …dal tempo all’eternità” mentre il ricordo che ci consegna Cassandra è struggente perché attinge direttamente al suo vivo dolore:
“Ho perso un tesoro, una Sorella, un’amica che non potrà mai essere superata. – Era la luce della mia vita, rendeva preziosa ogni piccola gioia, alleviava ogni pena, mai le ho nascosto un mio pensiero, ed è come se avessi perduto una parte di me stessa. L’ho solo amata troppo, non più di quanto meritasse […]” [3].
Romina Angelici
[1] Marisa Sestito, Introduzione a Anne Brontë, Agnes Grey, Editori Riuniti, Roma, 1989, p. XVI.
[2] Elizabeth Gaskell, La vita di Charlotte Brontë, Castelvecchi edizioni, Roma, 2015, p. 311.
[3] Jane Austen, Lettere, trad. Giuseppe Ierolli, edizioni ilmiolibro.it, Roma, 2011, L. n. CEA/1. [App.1] 20 lug. 1817, da Cassandra a Fanny Knight, da Winchester a Godmersham, p. 513.
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