L’ACQUA CHETA ROVINA I PONTI
“L’acqua cheta rovina i ponti” o anche “gutta cavat lapidem” (cioè la goccia scava la pietra).
L’espressione di oggi è dedicata a tutti quelli che almeno una volta si sono sentiti dire “eh, tu, sotto sotto…”, o “tu, zitto/a zitto/a…”.
In italiano o in latino, il concetto è sempre lo stesso: viene usato in riferimento a una persona considerata tranquilla e innocua, ma solo apparentemente perché in realtà persegue con costanza i propri fini, da altri reputati dannosi. Proprio come una lenta corrente d’acqua, che si direbbe quasi senza movimento…
Una frase, generalmente, accompagnata da un tono, per lo più, sarcastico e allusivo, diciamoci la verità. Come se l’interlocutore si fosse macchiato di chissà quale colpa.
E se dietro “l’acqua cheta” ci fosse soltanto un animo riservato e poco appariscente? Oppure una persona timida e disinteressata ad alzare sempre la mano? O magari uno spirito ribelle interessato soltanto a scoprire, a capire, a godersi i piccoli passi?
Come se la pacatezza fosse una colpa, o come se fosse strano agire nella riservatezza e lentamente, dritto verso i propri obiettivi senza sbandierare i propri risultati.
C’è l’ha insegnato Sepùlveda il grande valore della lentezza nel suo celebre e grazioso libro “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”:
<<[…]la lumaca parlò degli esseri umani e di come avessero cominciato a coprire il bordo del prato con qualcosa di denso, più scuro di una notte senza stelle[…] Prima che il sole accarezzasse il prato con i suoi ultimi raggi, la lumaca aveva avvertito del pericolo anche i bruchi, che una volta messi in guardia la ringraziarono per la sua lentezza, perché se fosse stata rapida come le lucertole e i grilli non li avrebbe visti>>
E allora, “acque chete”, statevene pure pacifiche e tranquille nel vostro alveo, imboccate il meandro che preferite e proseguite lente e silenziose lungo il vostro corso per raggiungere la vostra foce, qualsiasi essa sia, e lì gettatevi libere con la vostra timida possanza.
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