L’intervista ad Ilaria Parlanti, giovanissima autrice con disabilità, che ha scelto di sensibilizzare anche il prossimo su questo argomento.
Ilaria e la sindrome di Jarcho Levin

Ilaria Parlanti è una giovane autrice con disabilità, viene alla luce il 18 aprile 1997 a Pescia, una cittadina nella provincia di Pistoia, che si trova nell’alta Toscana, trascorrendo la sua infanzia e gran parte della sua adolescenza tra il suo paese natìo e Parigi, in ragione della sindrome di Jarcho Levin da cui è affetta dalla nascita è che cura attraverso un iter sperimentale nella capitale francese. È proprio in questa sede, all’interno dei poco luminosi corridoi degli ospedali che Ilaria però incontra e prende confidenza con quella che diverrà una delle più grandi passioni: la letteratura, prima nel ruolo di lettrice di intramontabili classici, e, successivamente, in quello di autrice di componimenti poetici.

L’amore per la letteratura

A partire dal suo dodicesimo anno di età, Ilaria, decide di partecipare con regolarità a diversi concorsi letterari sul piano nazionale ed internazionale, la critica non esita a premiarla, menzionandola in oltre trecento segnalazioni. In seguito, nel 2016, dopo essersi diplomata con il massimo dei voti al liceo classico, inizia anche ad interessarsi al cinema ed al teatro. In effetti, nel 2017, partecipando come sceneggiatrice alle rappresentazioni teatrali organizzate dalla scuola, è scelta fra centocinquanta autori per essere inserita all’interno dell’Enciclopedia della Poesia contemporanea dalla Fondazione Mario Luzi, in occasione dell’omonimo concorso.

I cortometraggi e il copywriting

Inoltre, nel 2019, prende parte come coautrice ed attrice al cortometraggio “Come un uragano senza identità” diretto da Roberta Mucci. Oltretutto, sempre in quel periodo, la nostra promettente autrice toscana scrive soggetto e sceneggiatura anche del cortometraggio “Circling paths”, prodotto da FilmIn’Tuscany, e vincitore di numerosi premi in festival internazionali.  A maggio 2020 è il momento del monologo “Invisibili” (interpretato da Ivo Romagnoli), che ha lo scopo di contrastare il fenomeno della violenza sulle donne imperante nel corso del lockdown, in brevissimo tempo, quest’ultimo diventa oggetto di discussione mediatico, venendo citato su diverse riviste e raggiungendo oltre 300.000 visualizzazioni sulla piattaforma Youtube. Infine, nel 2021, Ilaria Parlanti fa ingresso come copywriter nel sito di intrattenimento Tuttotek.

“La verità delle cose negate” e la sensibilizzazione sul tema della disabilità

Ilaria Parlanti, oltre ad essere un’autrice, sceneggiatrice e una attrice, è anche una attivista per i diritti della disabilità toscana. Di recente è uscito il suo romanzo d’esordio, “La verità delle cose negate”, pubblicato da Arsenio edizioni. Il suo libro parla di lei stessa, come Ilaria non ha problemi ad ammettere, della sua vicenda personale e dell’indirizzo che desidererebbe intraprendere nell’ambito artistico. Ma un’altra tematica importante del suo libro è la disabilità. Ilaria sembra possedere una grande consapevolezza e una sorprendente lucidità rispetto a tanti aspetti di questo tema, nonostante la sua giovane età, ha, infatti, solo venticinque anni e da quando è nata ha subito circa ventiquattro operazioni alla colonna vertebrale, nel corso di un iter di cura sperimentale a Parigi. Tuttavia, Ilaria si è posta da tempo un obiettivo molto ambizioso: quello di sensibilizzare le persone attorno alla tematica della disabilità e di sfatare i tabù che tuttora esistono a proposito della questione. Ed allora ho deciso di intervistarla per dare voce alla sua storia che può essere significativa e utile anche ad altre persone:

L’intervista a Ilaria Paranti e la sua esperienza di donna disabile
Cosa significa avere la sindrome di Jarcho Levin e cosa ha significato per te nello specifico convivere con tale patologia?


«Avere la sindrome di Jarcho Levin significa convivere con malformazioni ossee alla gabbia toracica, alla colonna vertebrale e agli organi interni come cuore e polmoni. Per combattere questa malattia genetica mi sono sottoposta ad un percorso chirurgico sperimentale, composto di 25 operazioni alla colonna, per far sì che il cuore ed i polmoni soffrissero il meno possibile e non fossero elisi, così come l’esofago per portare nutrimento. Il tutto è avvenuto in un Paese per me sconosciuto, la Francia, che si è presa carico del mio problema, visto che in Italia non c’era possibilità di salvezza».
Cosa consiglieresti oggi ad una donna che convive con una disabilità?
«Ad una donna che convive con una disabilità consiglio di non arrendersi mai. Capisco e so che ci sono molti momenti difficili, di grande frustrazione, ma bisogna vedere al futuro con un’ottica di speranza e benevolenza».

“Invisibili” e la lotta contro la violenza sulle donne

A cosa si è ispirato il monologo “Invisibili”?


«“Invisibili” è ispirato ai moltissimi casi di abuso e femminicidio avvenuti in Italia durante il primo lockdown per coronavirus, omicidi che sono passati totalmente sotto silenzio dai media italiani per la preoccupazione dovuta alla pandemia. Ho voluto dare voce a chi voce ora non ce l’ha più e soffermarmi su un problema dilagante della nostra società a cui non si riesce mettere un freno».
Quali sono i pericoli ai quali il lock down e la pandemia ci hanno esposto implicitamente? Cosa è stato lasciato nell’ombra a causa del coronavirus?
«Credo che i vari lockdown e più in generale l’ansia di questa malattia abbia portato un tasso di isolamento e rischio di salute mentale non indifferente. Io stessa ne ho pagate le conseguenze, soffrendo di ansia generalizzata, attacchi di panico e depressione. Penso che oggi ci dobbiamo soffermare sul benessere psicologico, perché molti giovani hanno subito gravi crisi psicologiche/psichiatriche».

Sensibilizzazione o Retorica?!
Pensi che della violenza sulle donne non si parli abbastanza oppure se ne parli ma in modo non pertinente?

«Di violenza sulle donne si parla, si fanno conferenze, si è istituita una giornata di commemorazione, ma manca ancora l’azione concreta. Tutti conosciamo il problema, eppure ancora non facciamo il possibile per estirparlo».

Quali sono le ombre e le luci della problematica “invalidità” e quanta retorica esiste attorno a questo tema?

«Di “Disabilità ed invalidità” si parla ancora poco e, quando lo si fa, se ne parla male, almeno in Italia. Ci sono luci ed ombre come per tutti gli argomenti, si passa da un pietismo estremamente non voluto ad una positività tossica che ci porta ad essere tutti eroi. La verità, secondo il mio parere, sta nel mezzo: è giusto mostrare le battaglie per quel che sono, anche difficili, far vedere i momenti di sconfitta e quelli di vittoria, senza doverci scusare con nessuno e senza retorica. Perché, purtroppo, sì, esiste ancora troppa retorica sull’argomento».

“Le verità negate” del libro e di Ilaria
Di cosa tratta “La verità delle cose negate” e quale è il messaggio che vorresti dare a chi lo legge?

«“La verità delle cose negate”, il mio romanzo d’esordio, è parzialmente autobiografico: in esso racconto la storia di Isabella, una donna che si trova ad un bivio della vita. Si accinge quindi a comprare un quaderno e ad annotarvi dentro tutti i suoi pensieri. Riannodando il filo dei ricordi, Isabella ritorna ad un anno della sua giovinezza in cui ha conosciuto persone e ha vissuto esperienze che l’hanno cambiata nel profondo. Adesso, non sa che fare: accettare questo cambiamento, buttarsi nell’ignoto e diventare veramente la persona che vuole essere o continuare a vivere nella sua “confort zone”? Il messaggio è quella di accettare le proprie fragilità e, infine, di imparare ad amare sé stessi per ciò che siamo».

Quali sono invece le tue “verità negate”?

«Le mie “verità negate” sono molte, non saprei nemmeno io elencarle tutte. Ne dico solo alcune, quelle principali. Una verità che mi volevo negare è quella di essere una persona con disabilità, non riuscivo ad accettarlo. Non riuscivo ad accettare nemmeno che potessi avere limiti, fragilità, sofferenze, ma anche una gran tenacia e forza di sopravvivenza».

il desiderio più grande
Scrittrice, sceneggiatrice e anche attrice, cosa vuoi fare da grande Ilaria?

«Da grande voglio essere felice, in primis. Poi, sicuramente, portare la mia arte al pubblico, in qualsiasi forma vada bene per il momento di vita che sto attraversando».

Quale è il tuo sogno più grande?

«Il mio sogno più grande è quello di vedermi realizzata nella società. Di avere il lavoro che mi piace, di sorridere, di godermi la vita a fianco ai miei cari e, chissà, un giorno costruire anche una famiglia».