Dopo una brutta depressione, Marica ha venduto e regalato tutto quello che aveva in Italia e si è trasferita in Kenya. Per anni aveva comprato oggetti per colmare la sua sofferenza. In Kenya ha scoperto la serenità, le vere priorità e la gioia di sentirsi importante anche solo aggiustando tutti i giorni qualcosa che si rompe.
«Da piccolina costruivo palme di carta e creavo piccole baie con la sabbia. Tutti si domandavano dove avessi visto certe cose. Quando mi domandavano: “Ti piacciono le palme?”, io rispondevo: “Un giorno mi ci metterò sotto a queste palme e il vento mi porterà via”.» Marica Cagnoni ha cinquantanove anni ed è originaria di Rimini. Da ormai vent’anni vive a Watamu, un villaggio costiero del Kenya. «Oggi ho la casa che sognavo da bambina, Giulia House, dove ospito turisti e viaggiatori. Ma quello che posseggo e di cui sono più orgogliosa è l’esperienza della mia altalenante esistenza.»
Una vita dedita al lavoro.
Quella di Marica è realmente una vita su un’altalena di gioie e dolori. È giovanissima quando si sposa e diventa mamma. Il suo matrimonio non le sta stretto, anzi. Ci tiene e desidera farlo funzionare, ma le cose non vanno come avrebbe voluto. All’età di ventinove anni si ritrova in uno stato psicologico ed economico devastante e a crescere una figlia da sola. «Quando si è giovani e in salute ci si rimbocca le maniche e, in qualche modo, sono andata avanti» racconta Marica. «Lavoravo come commerciante di stoffe ambulante. Avevo ereditato questa attività del mio ex marito quando ormai era sul punto di fallire. Il lavoro nelle piazze e nei mercati era duro, ma avevo solo quello. Sono stata molto abile nel riportare gli incassi a buoni livelli, così da poter salvare e allargare l’attività, ma ho annientato me stessa.
La depressione.
La mia vita fuori dal lavoro era vuota, la riempivo solo di oggetti che non avevo il tempo di godermi. Dopo circa sedici anni di esistenza atta solo a rendere me e mia figlia sicure economicamente, è arrivato il brutto momento di guardarmi dentro e quello che ho visto non mi è piaciuto. Sono caduta in una depressione profonda e, per evitare di pensare a quante cose belle non avevo vissuto, compravo moto, macchine e vestiti. Cominciai a bere anche alcolici… per fortuna non ho mai toccato droghe. Quando poi mia figlia decise di lavorare prima negli Stati Uniti e successivamente in Australia, provai il forte dolore di dover fare i conti con la mia realtà: ero una donna di trentasei anni depressa, avevo un compagno che non amavo, e continuavo a farmi del male senza sapere perché.»
Disfarsi delle cose materiali per scoprire i propri reali bisogni.
Marica decide di vendere o regalare quasi tutto. Quello che resta della sua famiglia la osservava perplessa e non acconsente. Dopo essersi liberata delle cose materiali, lascia il compagno, l’amante e qualche “amico” passeggero. «Sì. Anche a uomini non mi ero fatta mancare nulla, senza capire che più ne avevo, e più avevo problemi.» In ultimo, licenzia un paio di dipendenti e rimpicciolisce la sua attività. In questo clima di cambiamenti, parte per un mese per Miami e, successivamente, viaggia nelle isole greche. Inconsapevolmente, stava cercando quello che più l’aveva appassionata fin da quando era bambina: il mare. Quel mare fatto di acque limpide, sabbie candide e pace.
Da turista a viaggiatrice.
Dopo due anni di astinenza sentimentale, Marica incontra un uomo di cui si innamora, ma non è più disposta a rinunciare alla sua libertà. Gli spiega che i suoi sentimenti per lui non sarebbero cambiati pur dedicandosi anche alle sue vacanze e ai suoi passatempi. «Stavo guarendo. Avevo meno soldi, ma stavo meglio. E quando si comincia a stare bene, si desidera migliorare sempre più. Il mio compagno accettò la mia decisione di fare vacanze separate – d’altronde non si voleva impegnare troppo! – e così partii a Natale con mia figlia per il Kenya. Alloggiammo in un villaggio turistico dove, come da copione, era tutto organizzato.
Tornai in Italia a cuor leggero, pensando fosse stata una semplice vacanza come le altre. Dopo due mesi, mi contattò una ragazza di Cesena che avevo conosciuto nel villaggio turistico che mi fece una proposta per me alquanto stramba: tornare in Kenya per un mese, ma questa volta zaini in spalla. Accettai. Alloggiavamo dove capitava ed eravamo attente a ogni scellino che spendevamo. Io camminavo dapprima con prudenza, poi mi spostavo ovunque e ogni giorno scoprivo spiagge nuove e conoscevo pescatori ai quali chiedevo di portarmi con loro per osservarli. Sotto quel sole impetuoso, avevo trovato la spiaggia ideale. Acque limpide e mare “pescosissimo”.
Mi sono fatta un’opinione e penso ci siano due modi di viaggiare: nel primo, ti portano a spasso e segui un programma sicuramente bello, ma un po’ insipido; nel secondo, ci si sposta in completa autonomia con una curiosità famelica di vedere davvero.
Se poi ci si aggiunge la completa libertà della gestione del tempo, allora non si smetterebbe mai. Quello rimarrà per sempre il più importante viaggio della mia esistenza.»
Il ritorno a una vita stretta.
Rientrata in Italia, Marica torna alle sue mansioni, ma qualcosa non la convince: è taciturna e ha di nuovo perso l’entusiasmo. «Nel freddo e nelle banalità europee mi sentivo male, e non volevo più stare male.» Così, sotto gli sguardi attoniti dei dipendenti e del compagno, Marica annuncia di voler visitare Watamu anche nel periodo delle piogge. «Ho chiuso bottega e sono partita per un paio di mesi. Naturalmente nessuno fu d’accordo, ma non me ne importai. Watamu era lì, sempre modesta e bellissima nel suo stile di vita semplice. Appena atterrata, fui accolta dal caldo e dal sole e mi sentii a casa.
Ancora non contemplavo l’idea di un trasferimento definitivo, avevo troppe cose da sistemare in Italia Il lavoro era ormai in caduta libera perché non mi ci dedicavo più e i soldi erano di conseguenza pochi. Per questo non mi illudevo più di tanto. Sapevo anche che la vita all’estero sarebbe stata dura. Mi autoconvincevo che vivere lì era solo un sogno impossibile. Inoltre, non credevo alla storiella dei “sorrisi sinceri” di Watamu. Qui siamo turisti da spremere e le bugie che questa gente racconta sono all’ordine del giorno.» Nonostante la diffidenza e le difficoltà iniziali, Marica vede un piccolo terreno in vendita in mezzo a un grazioso palmeto e pensa che non sarebbe stato male avere un piccolo rifugio in Kenya.
Per realizzare i sogni serve coraggio.
«Azzardai la prima decisione e comprai quel pezzetto di terra e poi tornai in Italia. Quando comunicai il mio acquisto, fui investita dai giudizi e dai commenti delle persone che avevo intorno a me ma, anziché demoralizzarmi, azzardai anche la seconda decisione: avrei venduto le mie licenze di lavoro e avrei provato a vivere per un po’ in Kenya, lontana da quelle voci gracchianti che affermavano fossi completamente pazza. Non vi annoierò con tutte le difficoltà per chiudere le questioni in Italia, anche perché fu solo il piccolissimo inizio di un susseguirsi di bastoni tra le ruote che avrebbero leso mentalmente il più forte dei soggetti. Con pochi soldi e una sola valigia, mi piazzai con una capanna a Timboni e comincia a costruire la casetta dei miei sogni.»
Il coraggio di lasciarsi andare al cambiamento.
Marica è divisa tra Kenya e Italia. Ha ancora un appartamentino in affitto a Rimini e un compagno. Oltre agli ostacoli in Italia, incontra ostacoli anche nel nuovo paese ospitante. «Un tizio che faceva il costruttore si offrì di aiutarmi e ne uscii senza soldi e senza casa. La casetta me la dovetti costruire da sola e finii quasi tutti i risparmi. Dopo nove mesi di stenti, tornai in Italia e lavorai come donna delle pulizie per una stagione e, col poco ricavato, tornai in Kenya.
Da lì in poi la mia vita iniziò a cambiare per sempre.» Marica vive di pesca, è nera come il carbone, si muove in bicicletta e risparmia su tutto per la mancanza di soldi, ma prova una felicità dentro che non riesce a descrivere. «Finalmente sola, potevo gioire realmente di quello che avevo e che io stessa producevo: se pescavo mangiavo pesce cotto alla brace, altrimenti avevo un piccolo orto. Avevo solo ciabattine, parei e pantaloncini logori, ma non ero mai stata così felice.» Terminata la costruzione del piccolo cottage battezzato Turtle House, inizia ad adoperarsi per affittare due stanze ai turisti. «Non era certo un lavoro di importante entità, ma mi consentiva di mantenermi.»
Marica alterna lunghi soggiorni in Kenya per tornare solo periodicamente in Italia per lavorare e vedere il suo compagno che inizia a essere geloso della sua vita in Africa. «Una mattina, dopo ormai anni, si svegliò e decise che era finalmente innamorato e che avremmo potuto fare sul serio. Non aveva però nessuna intenzione di trasferirsi. Il Kenya non faceva per lui e lui non faceva più per me. Si innamorò di un’altra signora e in poco tempo mi lasciò. Col senno di poi, ne ho dedotto che era spinto dal bisogno di una donna di servizio a orario continuato.»
La nascita di Giulia House, la casetta sotto le palme.
Con ormai zero soldi ma libera, Marica saluta l’Italia e torna a Watamu dove decide di vendere l’ormai accogliente Turtle House per passare a un sogno più grande. Con il ricavato, infatti, acquista una vecchia villa completamente da ristrutturare a due passi dal mare. È molto grande per lei sola, così continua ad affittare due stanze per reinvestire i guadagni in rifacimenti e manutenzione. È così che nasce Giulia House, un’oasi di palme e pace che tutt’oggi ospita tanti turisti e viaggiatori. «Dopo sette anni ho finalmente finito i lavori, ho una situazione tranquilla e ho acquistato la residenza per stranieri. Sono cittadina africana.
Ormai vado raramente a pescare, perché la mia piccola attività assorbe piacevolmente una bella fetta del mio tempo, ma adoro passeggiare in queste spiagge bianche e riscoprire ogni volta angoli nascosti. La bassa stagione qui è un momento di grande calma e riflessione e, seduta sulla sabbia, rimango a lungo in silenzio a osservare il mare e il cielo. Mare e cielo, qui, sono ciò che si avvicina di più alla mia idea di Dio. Quando torno a casa provo una felicità indescrivibile. Ed è uno stato d’animo contagioso! Quando vado a passeggiare con clienti o amiche, salutiamo i nostri conoscenti pescatori, acquistiamo pesce fresco, e non vediamo l’ora di ripetere l’esperienza, come se fosse sempre nuova. Forse è la vita semplice, forse il caldo, la natura… Forse è che già da bambina sapevo che il mio posto nel mondo era sotto queste palme.»
Rinunciare a una vita comoda per avere in cambio la serenità.
«Non sono scappata dall’Italia per una situazione scomoda. Trasferendomi in Kenya ho rinunciato a tante cose e a tante comodità, all’amore, alla sicurezza economica, e ho dovuto anche affrontare situazioni che, se fosse servito a qualcosa, mi sarei messa a piangere. Qui lo scontro culturale africani-europei è fortissimo, siamo diversi praticamente su tutto, pensieri e comportamenti. Ma mai abbattersi davanti alle difficoltà, perché il collaboratore giusto, l’ufficio giusto, l’amica giusta si trovano sempre. Quando mi chiedono: “Perché il Kenya?” io rispondo che solo qui ho scoperto la serenità, la priorità di me stessa e di riscoprirmi importante anche solo aggiustando tutti i giorni qualcosa che si rompe. Non c’è mai stato un singolo giorno in cui mi sia pentita di avere fatto questa scelta.
Ci lasci con un consiglio per chi sogna di viaggiare o vivere all’estero ma pensa che sia impossibile?
«In molti mi dicono che ho avuto coraggio, che lo vorrebbero fare anche loro; altri sostengono che la mia è stata solo fortuna, che chissà quanti soldi ci vogliono. Riassumo rispondendo loro che quando si tocca il fondo, bisogna tornare a galla, e si deve essere sinceri con sé stessi per capire cosa realmente si vuole. Per questo sì, ci vuole coraggio, poi ci vuole la salute, e con quella si può lavorare sodo. Poi serve un pizzico di fortuna – che non guasta mai – e tanta ironia per i problemi quotidiani. Ma al primo posto, quando viaggiamo o ci vogliamo inserire in un nuovo paese, ricordiamoci di entrare con rispetto e gratitudine, e di ringraziare che al mondo esistono ancora posti meravigliosi disposti a ospitare persone distrutte da stress e dispiaceri, donando loro ancora tanta felicità.»
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