È l’ultimo nato, per la collana Windy Moors, in casa Flower-ed.
Quella che andrete a leggere è l’intervista ad Alessandranna d’Auria, traduttrice e curatrice dell’epistolario di Patrick Branwell Brontë, relativo al periodo 1835-1848, anno della sua morte, che ha cercato di illuminare le numerose zone d’ombra che avvolgono ancora la vita di questo artista travagliato e appassionato, che amava definirsi un poeta maledetto.
Accanto a ogni blocco di lettere, tradotte e raggruppate per anni, è stato compilato un esaustivo commento esplicativo di spiegazione e informazione, oltre che di collocazione nel dovuto contesto di riferimento. Alla fine del volume le osservazioni sono convogliate in un approfondimento bio-bibliografico sull’autore dell’epistolario, poi arricchito dalle preziose appendici.
Ma cerchiamo di saperne di più da Alessandranna stessa che ha curato tutto questo eccellente lavoro.
Difficilmente la citazione intratestuale scelta come titolo avrebbe potuto esprimere meglio il percorso terreno dell’uomo e dell’artista Patrick Branwell Brontë. Alcuni versi composti da lui stesso si sono rivelati purtroppo tristemente premonitori del suo tragico destino, vero?
In ogni parola c’è una parte di lui e questa è la più grande abilità di uno scrittore di talento, sapersi dare in ogni riga. Mentre leggevo le poesie originali mi ero prefissata di cercare un verso che lo rappresentasse in ogni suo aspetto, ma non per il titolo, mi serviva per concludere la parte saggistica. Avevo appena girato pagina per passare alla poesia successiva a Misery II, quando qualcosa mi spinse a tornare indietro. Era quello, il verso che racchiudeva speranze andate, amarezze, sogno, vita… quel verso era Branwell, era il titolo che doveva avere questo libro.
Che la famiglia Bronte non fosse una famiglia ordinaria abbiamo avuto modo di rendercene conto e costatarlo in diverse occasioni e in questo le sorelle Charlotte, Emily e Anne ce ne hanno offerto più conferme. In occasione del bicentenario della nascita la casa editrice Flower-ed decide di rendere omaggio al componente più eclettico, travagliato, incompreso, e cos’altro?
Ci siamo dedicate a un ragazzo prima, a un uomo poi ed è diventato, almeno per noi, il simbolo di tutti quelli che pur dannandosi a raggiungere un obiettivo, falliscono, perciò abbiamo dedicato questo libro a chi nella vita non ce la fa. Non siamo tutti uguali, non possiamo realizzare i sogni o le attese di altri, ognuno di noi sa perdere o vincere a modo proprio, questo non deve sottometterci al giudizio altrui. Branwell subì tutto questo e perciò abbiamo voluto onorarlo offrendolo al lettore per come era veramente e non per come la storia o altri scrittori hanno voluto presentarcelo.
Può essere definita un’altra peculiarità della famiglia Brontë, e nello specifico del Reverendo, quella di aver proiettato il figlio Branwell alla carriera pittorica, che non era esattamente quella più scontata per i maschi: il vizio cioè era all’origine che questo figlio talentuoso fosse destinato a priori a una vita fuori dall’ordinario?
Il Reverendo era un uomo molto intelligente ma poco portato per la comprensione. Era un uomo del suo tempo col difetto di credere che un figlio maschio (specie se l’unico) dovesse a prescindere raggiungere il successo. Lo sbaglio fu cercare quel successo con la sicurezza di realizzarlo. Branwell era un bravo narratore, ma il peso dello sguardo di un padre lo schiacciò. Se vediamo che contemporaneamente, in silenzio, nell’anonimato, senza obiettivi paterni, le tre sorelle raggiunsero il successo, allora è chiaro di chi fu l’errore.
“Le lettere non danno pane”, dici a un certo punto per spiegare la ricerca di un lavoro remunerato da parte di Branwell, a fronte della constatazione che la traduzione dei classici, greci e latini, non avrebbe garantito il sostentamento né tanto meno fatto la sua fortuna; ma è anche vero che dalla sua insistenza, a volte presuntuosa a volte ostinata, nelle richieste di un impiego, così come nelle lettere a scrittori o poeti famosi per avere un loro parere sui suoi componimenti, si intuisce un’educazione di certo alimentata non a pane e modestia che poi però si è dovuta scontrare con l’amara realtà fatta di ignoranza e aspettative deluse?
Il Reverendo sbagliò sul carico delle aspettative, il figlio sul convincersi che la fama gli era dovuta; era inevitabile apparire presuntuoso, ma era la presunzione giovanile, se vediamo il suo comportamento nei confronti del Balckwood’s Magazine quando era ragazzo e poi da adulto si nota una grande differenza: prima si pone con superbia, poi con timoroso rispetto, quasi rassegnazione. La citazione latina mi fu ricordata anni fa, mentre scrivevo un libro di archeologia, da un signore ormai novantenne con la passione della scrittura e della lettura. Aveva ragione, la letteratura non fa mangiare, nel senso che solo a pochi garantisce il successo e di conseguenza l’auto-sostentamento, ma per quella gran massa di aspiranti scrittori tutto finisce nel vuoto. Eppure io sono convinta che in quel vuoto anonimo ci siano voci che meritano di essere ascoltate e altre famose che dovrebbero tacere. Lo stesso era all’epoca dei Brontë, la letteratura assicurava a pochi una vita degna. Non ci abbaglino i circoli letterari, i salotti londinesi dove si discorreva di lettere tra nomi già famosi, noi sappiamo che quanto guadagnò Charlotte coi suoi romanzi non sarebbe bastato a mantenerla nella previsione di restare sola.
Apprezzo molto la scelta di allargare lo sguardo a tutti i fratelli Brontë, ognuno a suo modo, espressione di genialità pur con le sue peculiarità caratteriali; a ben pensarci, ogni volta che si parla delle sorelle Brontë la presenza di Branwell aleggia intorno a loro senza approfondirne il ruolo e il grado di influenza reciproca. La storia del ritratto -che spieghi in appendice al volume- è emblematica di questo gioco delle parti in atto nella canonica?
Quel ritratto racchiude consapevolezza e profezia, entrambe nefaste. È come se, cancellandosi per insoddisfazione grafica, Branwell in realtà accettasse la sua inadeguatezza umana rispetto alle sorelle. È la nostra interpretazione moderna ma quanto è vera e suggestiva per chi conosce la loro storia?
Il rapporto con le sorelle è invisibile ma alla base di tutto: inizialmente il sodalizio con Charlotte perché vicini d’età, poi nella difficoltà Emily è quella che gli dimostra più comprensione. Ma non si pensi che Anne rimanga sullo sfondo, perché è direttamente coinvolta nella faccenda di Thorp Green. Vuoi parlarcene meglio?
La complicità con Charlotte era nata nello scrivere le storie di Angria, inevitabilmente tra loro c’era quell’affinità elettiva e intellettuale che li unì da piccoli. Crescendo, affrontando la vita da adulti, tutto cambiò. Emily era diventata la donna di casa, la matriarca che gestiva in silenzio con devozione atavica la famiglia e nei loro momenti da soli, certo si confidarono molte cose. Ma secondo me fu Anne la vera spalla sicura di Branwell. L’improbabile storia romantica di Thorp Green era sotto gli occhi della sorella minore. Sono certa che il fratello non dovette confessarle niente, Anne aveva occhi per vedere, orecchie per sentire e cuore per capire. Voglio credere che bastarono degli sguardi per comprendersi, quelli che ormai erano lontani dall’intransigente Charlotte e dalla silente Emily. Thorp Green fu la parentesi più amara di una vita già afflitta. Era inevitabile insabbiare tutto per la vergogna. La vergogna di avere un figlio con una relazione adultera? O un figlio che la segnò al punto di offuscare la verità con l’immaginazione? Il segreto rimase nelle mura della Canonica, ma credo che la verità fu custodita solo da Anne.
Sicuramente è diverso il rapporto che ciascuno di loro aveva nei confronti di Haworth, di casa, della brughiera. Branwell lo descrive come una specie di prigione?
Haworth era una prigione per tutti tranne che per Emily, lei era diventata lo spirito tutelare della quella brughiera. I fratelli potevano farne a meno, Charlotte voleva scappare ovunque potesse, Anne lo stesso, Branwell si sentiva schiacciato tra quelle persone senza cultura e se ne era andato per poi costringersi a tornare. Eppure, a parere comune, nessuno di loro avrebbe scritto un capolavoro lontano da Haworth.
La carriera artistica di Branwell però non fu del tutto inconcludente perché comunque fu pubblicato; il problema semmai fu la dispersione di energie verso troppi obiettivi e sue abitudini voluttuarie? Il suo desiderio d’azione lo penalizzò in eccesso?
Branwell pubblicò su giornali locali, non raggiunse quelli delle grandi città, dove vivevano autori famosi. È vero, desiderava agire, di un’azione che presupponeva scrivere romanzi di successo. Tuttavia in una famiglia quasi povera e da unico figlio maschio questo non poteva essere il suo destino, specie se inadeguato per ogni lavoro di fatica fisica e con un talento letterario che a differenza delle sorelle andava guidato. Sì, troppe opzioni, o se vogliamo, troppe “carriere” lo deviarono dal porsi un unico obiettivo per dedicarcisi completamente.
La depressione in cui cadde Branwell negli ultimi tre anni fu la più grave e di fatto gli fu fatale, ma c’erano stati altri episodi in precedenza?
Possiamo individuare due momenti critici, forse non proprio di depressione, ma di insofferenza, quando lavorò come tutore e poi alla ferrovia. Nessuno dei due impieghi era fatto per lui. Forse nemmeno lui sapeva cosa doveva essere giusto per chi voleva solo scrivere. Rischio, e dico che se fosse nato donna, le cose sarebbero andate diversamente.
Nei riconoscimenti finali ringrazi l’editore per il supporto e a ragione secondo me, perché i volumi Flower-ed sono sempre più curati e difficilmente gli epistolari in genere recano un commento esplicativo così puntuale e ricco. Parlavi di difficoltà nel reperire le fonti? Le stesse lettere di Branwell sono di arduo reperimento?
L’intero corpus delle poesie di Branwell attualmente esiste solo in lingua originale e venduto a prezzi molto alti. Le biblioteche italiane che ci hanno aiutato a rendere meno difficile la ricerca sono state un’ancora di salvezza. Anche le lettere sono pubblicate solo in inglese (tranne qualcuna in raccolta mista) ma ho potuto comprare l’intera pubblicazione per il mio compleanno. A quarant’anni dovevo farmi un regalone!
Ho scorso la nutrita bibliografia: quale testo consiglieresti a chi volesse approfondire la conoscenza di Patrick Branwell Brontë? Mi incuriosisce molto il testo di Daphne du Maurier e il tipo di ricostruzione biografica che lei sulla base di una affinità elettiva, cerca di fare.
Dici bene, per chi conosce inglese o francese il libro della Du Maurier secondo me ha il giusto tono di un saggio leggero e romantico, fornisce notizie storiche velate da una vena di condivisione di sentimenti che l’autrice non nasconde mai. Come casa editrice però abbiamo voluto tradurre la biografia scritta da Alice Law, tra poco in uscita, dai toni solenni e soggettivi tipici del primo Novecento e che mantiene un tono affine al libro della Sonnino dedicato alle tre sorelle. Una sfida, anche questa. La flower-ed prosegue con coraggio, traducendo quello che altri editori di fama maggiore sembrano disdegnare.
Ti lascio con un “grazie” per il prezioso lavoro fatto e un “arrivederci”, perché il mondo dei Brontë merita di essere conosciuto meglio e per intero, nel bene e nel male.
Il tuo grazie vogliamo amplificarlo, la flower-ed vuole dare voce a chi non ne ebbe, per vari motivi, ma soprattutto se può regalare al lettore quella parola che lo mette in sintonia con un autore, allora siamo noi che diciamo grazie a chi ci dà fiducia.
Aspettiamo quindi nuove pubblicazioni e nuovi motivi per ribadire una fiducia già ben riposta e ripagata!
There are 3 comments on this post
L'ha ribloggato su Recensioni Librarie in Libertàe ha commentato:
Non potevo certo esimermi dal fare il reblog a questa meravigliosa intervista della strepitosa Alessandranna D'Auria e quindi eccovela con mille grazie a Pinkmagazine e i miei complimenti a Romina Angelici!
Buona lettura a tutte e tutti voi! ☺
L'ha ribloggato su I piaceri della lettura.
Comments are closed.