Un romanzo che parla di amore e racconta la storia di un innamoramento indotto da un paio di luminosissimi occhi azzurri. Quelli di Elfride, giovane signorina di campagna. Thomas Hardy non si smentisce mai.

Due occhi azzurri (Fazi Editore). Hardy non sarebbe Hardy se ci lasciasse in balia di insulse svenevolezze sentimentali. Imbastisce così la sua storia secondo il suo stile, tenendo a bada il suo cinismo e il suo fatalismo per un finale beffardo, dei suoi.

A ben guardare il duplice registro entro i cui binari si snoda la vicenda è evidente sin dall’inizio. Dal titolo in cui compaiono per la prima volta i “due” occhi azzurri e via via di seguito nella comparsa dei personaggi. Due gli amori, due gli innamorati, due diversissime le loro personalità, due i loro modi di corteggiamento. L’ambiguità aleggia su situazioni che sarebbero altrimenti convenzionali e getta un alone di drammaticità annunciata anche grazie alle ricorrenti descrizioni del cimitero con le sue tombe, usato come luogo di ritrovo degli innamorati e i continui riferimenti alla morte.

Dieci anni dopo Gli innamorati di Sylvia, della Gaskell, anche Elfride è oggetto dell’amore di due uomini molto diversi tra loro per ceto e intelletto.

Il giovane Stephen di umili natali che deve guadagnarsi la sua posizione nella società e l’uomo, lo studioso, che ha votato la sua vita a coltivare la sua mente e la sua cultura, precettore del primo. Ma il differente punto di vista dei due autori è ovvio, oltre che manifesto, e si rispecchia innanzitutto nel modo in cui viene tratteggiata la ragazza. Mentre Sylvia, seppure semplice creatura, è creduta capace di profondi sentimenti, su Elfride incombe una predestinazione caratteriale che le sarà fatale.

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Dalle Piccole ironie della vita al grande romanzo che analizza sentimenti e pensieri dei personaggi componenti questo triangolo amoroso avviluppato su se stesso.

Hardy affila i suoi dardi acuminati e dipinge a tinte fosche un argomento che altrove avrebbe richiamato fiori e dolcezze. L’indagine introspettiva è condotta con impietoso cinismo: la ragazza è ingenua, fin troppo pura, ma è incostante e volubile; Stephen è un ragazzo devoto e capace ma sprovveduto e inesperto negli affari di cuore, Henry Knight è un valente filosofo ma vittima dei suoi stessi sofismi.

Sullo sfondo rimane un angolo di Inghilterra disegnato magistralmente, come Whitby sulle coste dello Yorkshire ha ispirato la Gaskell per ambientare la sua storia a strapiombo sul mare. Anche Thomas Hardy riesce a ricreare un paesaggio ideale, che al tempo stesso ha salde radici nella geografia locale, con Londra in lontananza, centro di opportunità e interessi. La natura si modella in base allo stato d’animo o all’avvenimento che stanno vivendo i personaggi al momento, sottolineandoli con panorami vertiginosi o distese verdeggianti.

Un grande dramma della gelosia, non sceneggiata ma covata nel livore crescente del sospetto che consuma e corrode ineluttabile, cieca e sorda a qualsiasi spiraglio di ragionevolezza. Un dramma annunciato, una declinazione in chiave sentimentale del suo motto e cioè che gli uomini sono zimbelli del destino. Anche in amore.