Una ventata d’aria fresca i componimenti giovanili di Jane Austen. Sketches, canovacci, piani di lavoro, esercizi, comunque denominati, sorprendono per la loro carica umoristica. E per le potenzialità espresse da un’autrice che poteva avere dai 12 ai 18 anni, esperta conoscitrice già a quell’età del panorama letterario della sua epoca.

Juvenilia. Jane Austen. Sono esercizi stilistici, primi esperimenti, anche favole a volte, che difficilmente avrebbe potuto scrivere solo per se stessa quanto per divertire la cerchia dei familiari ai quali sono rivolti. Lo attestano non solo le espresse dediche, ma anche tutta quella serie di ammiccamenti e riferimenti a situazioni o caratteristiche oggetto di ilarità condivisa in famiglia. E che ora lei mette in risalto nella loro ridicolaggine, estremizzandoli o enfatizzandoli cercando la complicità degli altri a cui sembra strizzare l’occhio. E a noi oggi con loro.

C’è tanto materiale, tanta sostanza, per una ragazzina di soli 12 anni.

Anche se sono stati rimaneggiati e rivisti stilisticamente più tardi. Si sperimentano i nomi di quelli che diventeranno poi i grandi protagonisti dei romanzi scritti da grande. Ci sono i topoi della letteratura sentimentale sonoramente beffeggiati e dissacrati con quegli svenimenti “a turno sul sofà” o i pianti a dirotto “attaccati alla bottiglia”.

Questa ragazzina quindi riusciva a stigmatizzare con occhio critico debolezze e difetti altrui e a volgerli in divertimento e contemporaneamente imbastiva le trame di quelli che sarebbero stati o sarebbero potuti essere i suoi capolavori.

L’autobiograficità non consiste nel preciso riferimento a circostanze reali della sua vita, quanto a quel senso di complicità familiare che si presuppone e si sprigiona dal loro tono confidenziale. Una complicità basata su opinioni condivise, discorsi pregressi scambiati, avvenimenti o notizie commentate insieme e poi rielaborate e trasposte sulla carta per la loro incontenibile forza umoristica.

La sua era una cerchia familiare intellettualmente vivace.

Evidentemente era in grado di capire al volo quale romanzo di recente lettura (collettiva, ad alta voce) venisse riproposto o chi fosse la conoscenza comune che aveva prestato il suo colorito acceso alla sfortunata e avvinazzata Alice!
Il volume delle Edizioni Rogas è arricchito da uno scritto di Virginia Woolf. Colei che per prima ha evidenziato come si possa conoscere uno scrittore proprio dalle sue opere secondarie che hanno il pregio di mostrare, se non il risultato compiuto, il metodo di lavoro che c’è nel durante, la composizione e il getto dell’ispirazione. A noi questi Juvenilia lasciano l’amara considerazione di quanto abbiamo perso.

Sempre affascinante è la disinvolta competenza con cui Beatrice Battaglia parla di Jane Austen. E ci introduce alla giusta considerazione dei lavori giovanili di una scrittrice più umorista che moralista, come ha voluto far credere la critica che ha adottato l’interpretazione vittoriana di una Jane Austen “tutta casa e chiesa”.

La raccolta Juvenilia comprende ventisette componimenti, divisi in tre volumi, e mostra come la sperimentazione sia ovunque  (e consapevole): nei temi, nel genere (anche se la forma epistolare è quella che prevale data l’epoca) e nello stile; anche la sintassi è infarcita di figure retoriche ridondanti. Le allitterazioni, le iperboli, i casuali nonsense, il sarcasmo sottinteso, a volte anche l’eccessiva ovvietà di una banalità ne fanno una spassosissima fucina di ironia e ingegnoso diletto.

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