In un’Inghilterra che si trova improvvisamente a perdere le colonie americane e a tremare per quello che sta succedendo in Francia, molti chiedono una riscoperta delle antichità locali da contrapporre al dominio del classicismo meditterraneo e nasce un nuovo genere letterario: il romanzo gotico. Un’autrice, Ann Radcliffe, lo elabora, ne detta le regole e crea il canone del genere mystery per i successivi due secoli e mezzo.

Ann Radcliffe è sicuramente l’autrice più nota nel panorama del romanzo gotico anglosassone. È stata tanto celebre da essere imitata e parodiata ancora in vita, citata da autori del nostro romanticismo quali Guerrazzi e Ruffini, utilizzata come “prestanome”, nell’editoria italiana di fine ‘Ottocento per la traduzione e pubblicazione di autori gotici minori. Il giovane W.M. Thackeray prendeva spunto dai romanzi di Ann Radcliffe per illustrazioni con le quali divertiva sé stesso e i propri compagni di scuola, mentre John Keats aveva affermato che tutti dobbiamo qualcosa a mamma Radcliffe.

La frase di Keats è valida ancora oggi quando ci vediamo smaliziati spettatori o lettori di Hitchcock, di Harry Potter e, in genere, di qualsiasi cosa abbia a che vedere con il mistero e la suspense.

Ecco due scene che, se oggi ci sembrano stereotipate, in realtà è solo con Ann Radcliffe che fanno la loro comparsa. La prima è tratta da THE ROMANCE OF THE FOREST:

La notte era buia e tempestosa e a circa tre leghe da Parigi Peter, che ora faceva da postiglione, dopo aver guidato a lungo in una brughiera spoglia dove si incrociavano diverse strade, si fermò e comunicò a De La Motte la propria perplessità. La fermata improvvisa della carrozza risvegliò quest’ultimo dalle proprie fantasticherie e riempì tutto il gruppo del terrore di un inseguimento; non era in grado di fornire la giusta direzione e le estreme tenebre rendevano impossibile procedere senza averne una.

In questo momento d’angoscia venne scorta una luce in lontananza e dopo parecchi dubbi e tentennamenti La Motte, sperando di ottenere aiuto, scese e si avviò verso di essa; procedeva a passo lento per paura d’ignote trappole. La luce usciva dalla finestra di una casupola, che si trovava isolata nella brughiera a mezzo miglio di distanza.

La seconda da A SICILIAN ROMANCE:

Il castello era immerso nel sonno quando Ferdinando raggiunse di nuovo le sue sorelle nell’appartamento di Madame. Lo seguirono nella camera con ansiosa curiosità. La stanza era tappezzata. Ferdinando colpì, per sentirne il suono, la parete comunicante con l’edificio meridionale. In un punto il colpo echeggiò, convincendolo che dovesse esserci qualcosa di meno consistente della pietra. Rimosse la tappezzeria e dietro di essa apparve, con sua inesprimibile soddisfazione, una piccola porta. Tolse i catenacci con la mano tremante d’impazienza e stava spingendo in avanti, quando si rese conto che una serratura gli impediva il passaggio. Le chiavi delle sue sorelle e di Madame vennero provate invano e fu obbligato a cedere al disappunto proprio nel momento in cui si stata congratulando con sè stesso per il proprio successo; non aveva strumenti per forzare la porta.

Rimase immobile a fissare la porta, lamentandosi tra sé e sé, quando si sentì un rumore basso e sordo che veniva da sotto. Emilia e Julia si aggrapparono al suo braccio e, tremando d’apprensione, ascoltarono in profondo silenzio. Si sentirono distintamente dei passi, come stessero attraversando l’appartamento sottostante, poi tutto tornò tranquillo.

Così, nella prefatory memoirall’edizione completa dei romanzi di Ann Radcliffe, Walter Scott definisce Ann Radcliffe:

Uno dei pochi fortunati scrittori riconosciuti come capostipiti di una determinata classe, fondatori di una scuola.

Giovinezza e matrimonio

Ann Radcliffe nasce Ann Ward a Londra nel 1764 da una famiglia di merciai. A otto anni, si sposta a Bath, importante stazione termale e ancora più importante ritrovo mondano.

A Bath, Ann trascorre i propri anni formativi e la propria giovinezza in modo tranquillo e sereno, con una grande ricchezza di letture facilmente rintracciabili nei suoi romanzi. Le ritroviamo sia nelle colte epigrafi che nelle citazioni all’interno dei testi.

Nonostante la contrarietà della madre, nel 1787 sposa William Radcliffe, giornalista e editore del settimanale English Chronicle.

Della vita privata di Ann Radcliffe a partire da questo momento si sa pochissimo, perché lei è molto riluttante a mettere in mostra o a scrivere dei propri fatti personali. Dai suoi diari di viaggio si deduce che il suo fu un matrimonio felice e che l’appoggio del marito fu molto importante per la sua attività letteraria. Un’attività concentrata in un ristretto periodo: cinque romanzi pubblicati tra il 1789 e il 1797 che le consentirono di guadagnare molto più di quanto uno scrittore potesse pensare di guadagnare all’epoca  e un sesto scritto nel 1803, ma pubblicato postumo dal marito nel 1826.

Viaggi e paesaggi di Ann Radcliffe

I suoi viaggi si svolgono nella regione dei laghi, in Germania e in Olanda. Niente a che vedere con gli scenari dei romanzi dei suoi romanzi, ambientati in Francia e in Italia. Per gli scenari italiani Ann Radcliffe si rifà a testi di altri viaggiatori e alla pittura di Salvator Rosa, badando molto di più alla ricerca del sublime che non al realismo e alla plausibilità geografica. Ma riesce a rendere molto bene, nel lettore inglese, la sensazione di trovarsi in un paese straniero. L’Italia da lei descritta diverrà, nei successivi 30 anni, l’immagine dell’Italia bucolica, ma insieme selvaggia e banditesca, nell’immaginario collettivo anglosassone.

La viaggiatrice quattordicenne Harriet Charlotte Beaujolois Campbell, che si trova sull’appennino nel 1817 con la madre (la futura romanziera Charlotte Bury), guarda i doganieri italiani con un misto di paura, vedendo in essi i banditti dei romanzi letti, e per lo stesso motivo di esaltazione avventurosa.

I romanzi di Ann Radcliffe
1790: A SICILIAN ROMANCE

Siamo nel 1580 nel castello del quinto marchese di Mazzini, sulle coste nord-orientali della Sicilia. Il marchese ha due figlie, nate dalla defunta prima moglie, ed è sposato a una donna tanto bella quanto priva di scrupoli. Julia, la figlia minore, fugge nella foresta per sottrarsi a banditi, sgherri del padre e monaci dissoluti. Ferdinando, il figlio maschio del marchese, indaga su certe luci misteriose che si vedono vagare nell’ala abbandonata del castello, dove si dice viva lo spettro di un uomo assassinato, che lo stesso giovane sente ruggire durante un giro d’esplorazione.

Ann Radcliffe comprende per la prima volta il genere di mistery al quale si deve attenere e inizia ad attribuire una spiegazione naturale a qualsiasi fenomeno apparentemente soprannaturale. Eppure, anche sapendo che l’elemento soprannaturale sarà assente da qualsiasi romanzo e ogni fenomeno sarà alla fine spiegato, non si può leggere un romanzo di Ann Radcliffe senza rimanere con il fiato sospeso, in attesa di rivelazioni che da brividi. I personaggi, poco approfonditi, lasciano una maggiore importanza alle vicende e al loro rapido succedersi e accavallarsi.

1791: THE ROMANCE OF THE FOREST

Ann Radcliffe inizia a soffermarsi sulla psicologia dei personaggi, discutendo gli effetti delle circostanze sul loro carattere e lasciando che questo carattere cambi nel corso del romanzo.

La Motte non è un villain come i precedenti, non prova nessun piacere nel fare del male, ma anzi spesso sembra detestare quelle azioni che è costretto a compiere. Della moglie vediamo il montare della gelosia, che trasforma il suo carattere da dolce in cattivo.

Il motivo iniziale è destinato a diventare un modello del noir che oggi noi, forti consumatori di libri e cinema, conosciamo bene. La Motte è un uomo che, a causa del proprio vizio per il gioco d’azzardo, rischia il carcere per debiti. Per sfuggire alla polizia cerca rifugio, con la moglie e un servitore, in una casa isolata e piuttosto sinistra. Qui trova degli uomini dall’aspetto indubbiamente criminale. Uno di questi lo obbliga a portare con sé una bellissima ragazza.

La spiegazione di chi siano quegli uomini e la ragazza è parecchio rimandata, proprio per quel profondo conto sulla suspense tipico dell’autrice. L’attenzione del lettore è presto distratta da un susseguirsi di altri eventi misteriosi, a partire dal momento in cui i fuggiaschi decidono di fermarsi in un’abbazia abbandonata nella foresta. Qui trovano passaggi segreti e uno scheletro abbandonato in una cassa.

Ann Radcliffe conferma tutto il piacere che trae dal puro raccontare e il lettore si lascia guidare dalle sue parole e dai suoi continui colpi di scena, dai nuovi misteri che si vengono continuamente a creare, senza riflettere sulla credibilità o meno dei particolari. Alla fine tutti i nodi verranno al pettine: una tecnica che oggi viene utilizzata nelle lunghe serie thriller televisive.

1794: I MISTERI DI UDOLPHO

Ann Radcliffe, abbandonando il termine romance, dichiara fin dal titolo la sua scelta ormai definitiva di seguire il filone della suspense.

Nella prima parte ci troviamo inseriti nella vita felice della giovane Emily (siamo nel XVI secolo) con il padre nella loro villa nel sud della Francia, per poi seguire la lenta morte del padre per malattia. È solo in seguito, quando la zia che adotta Emily sposa il cupo conte italiano Montoni, che si inizia ad entrare in un’atmosfera di tensione. Nel castello del conte sull’Appennino, Udolpho, rumori e ombre, nonché un velo nero che nasconde qualcosa di misterioso e indicibile, perseguitano Emily, lasciando sia lei che il lettore nell’incertezza su quale sia il confine tra la realtà e l’immaginazione.

Il metodo di Ann Radcliffe per dare spiegazioni di ciò che è apparentemente soprannaturale varia: a volte lo rivela quasi subito, ma più spesso siamo lasciati in un’attesa che dura parecchi capitoli. Il limite, in questo senso, è raggiunto dalla domanda: Cosa avrà visto Emily di tanto spaventoso sotto il velo nero? Solo a circa tre quarti del romanzo l’autrice ci fornisce la risposta.

Ann Radcliffe eccita le apprensioni più forti, per poi dimostrare quanto esse siano assurde. In questo senso si stacca da quel gotico che avevamo visto in Walpole e che vedremo in Lewis, mostrando il soprannaturale e l’irrazionale solo come un frutto della nostra immaginazione e riconducendo le trame, per quanto delittuose possano essere, ad un gioco di interessi patrimoniali e famigliari.

Rispetto ad altri autori gotici può essere considerata molto più vicina all’illuminismo borghese della propria epoca che non alla reazione irrazionalistica ad esso. Non per niente sarà un’autrice amata da Walter Scott, autore interessato all’occulto nella misura in cui lo poteva smontare.

1797: L’ITALIANO O IL CONFESSIONALE DEI PENITENTI NERI

Con l’ultimo romanzo di Ann Radcliffe siamo nuovamente in Italia, a Napoli. L’atmosfera è meno fantastica, la scrittrice gioca meno con il soprannaturale e ci lascia, invece, tra paure create dall’inquisizione cattolica.

La storia è quella dell’opposizione, da parte della marchesa Vivaldi, al matrimonio tra suo figlio e la borghese Elena. Il braccio della marchesa è l’ambizioso monaco Schedoni, che progetta l’omicidio della giovane. Schedoni è sicuramente il villain più riuscito di Ann Radcliffe, quello in cui sono più approfondite le motivazioni umane al crimine.

Come sostiene Edith Birkhead in THE TALE OF TERROR, è ad Ann Radcliffe che dobbiamo la creazione del villain romantico, non più solo un “cattivo”, ma un vero e proprio “maledetto”, pieno di sfaccettature e motivazioni del proprio agire. Schedoni deve sicuramente qualcosa sia al satana di Milton, orgoglioso e ambizioso, con tracce conservate di una grandezza passata, sia a personaggi shakespeariani come Riccardo III, quando osservati nella loro disperata solitudine.

Dalle caratteristiche dei malvagi di Ann Radcliffe riconosciamo e siamo in grado in grado di definire come gotici i villain di Lewis, Maturin e Byron.

Controparte femminile del villain è la perfida badessa. ma queste badesse sono mosse solo da una cattiveria e da una malizia meschine, che niente hanno a che vedere con l’ambizione di un Montoni o di uno Schedoni.