Continua il progetto di recupero e rivalutazione da parte delle Edizioni Croce, delle opere dimenticate della scrittrice Maria Messina, progetto iniziato con la pubblicazione di Alla Deriva.

Maria Messina è entrata sommessamente, in punta di piedi, nella mia vita di lettrice e come una folata di vento leggero ma freddo, che sparpaglia i fogli di un avvizzito calendario, si è fatta spazio con forza imponendo una doverosa pausa riflessiva.

Le pause della vita è un titolo che già da solo instrada verso considerazioni amare sul senso dell’esistenza umana.

“Siamo stati troppo lontani. Una pausa, dici tu. Ma le pause della vita non somigliano a quelle dei dialoghi”.

La protagonista di questa storia è Paola -tragicamente- suo malgrado, che volontaria capinera, immolerà la sua consapevolezza raggiunta a caro prezzo dietro un sacrificio autoimposto, abdicando alla vita e all’amore.

Paola ha scritto dentro di sé il proprio destino, intorno a lei aleggia un’aurea malinconica che è difficile da disperdere e si percepisce sin dalle prime battute del libro.

Il continuo riferimento a quelle mani diacce, quando fuori il sole riscalda i sinuosi poggi toscani produce l’effetto di una battuta d’arresto nel corso inesorabile del tempo.

“Sei diaccia” esclamò. […] Paola gli abbandonava le mani, che egli riscaldava stringendole delicatamente.

… Dolce cosa lasciare riposare i nervi e il cuore quando si è assetati d’affetto e non si fa che irrigidirci per andare d’accordo con l’ambiente che ci circonda!

Paola vedeva aranceti in fiore e posava i piedi sull’erba di un prato pieno di sole e di ombre calde; socchiuse gli occhi, ascoltando la voce innamorata (p. 11).

Gli accenti accorati nella descrizione del paesaggio tradiscono un attaccamento autobiografico legato a ricordi della fanciullezza trascorsa della terra toscana, come Flavia Rossi, curatrice del volume, ricostruisce con precisi riferimenti estrapolati dalla corrispondenza intrattenuta dalla scrittrice.

Paola guarda con avidità la vita attraverso i suoi timidi occhi grandi ma le illusioni e le ingenuità giovanili sono destinate a infrangersi contro la dura realtà del male.

Quella che poteva essere una normalissima storia d’amore tra due ragazzi appare sin da subito votata a tingersi dei più foschi presagi e poiché il bene giunge sempre troppo tardi per riceverlo, prima accade tutto il peggio possibile: in un crescendo di eventi e incontri disgraziati la già disgregata famiglia Mazzei viene provata e prostrata da una serie infelice di rovesci che solo una generica quanto indistinta fiducia nel futuro consente di superare o accantonare. Almeno fino all’irreparabile. La lezione verghiana è stata perfettamente interiorizzata.

Come limpidi e fiduciosi, gli occhi di Matteo! Egli credeva a un bene che forse non sarebbe venuto mai. Egli aveva fede nell’avvenire; e non sentiva che il tempo, con la sua felicità impreveduta, con i suoi inevitabili dolori impreveduti, passa e non torna. (p. 14)

Impariamo a conoscere i personaggi della storia tramite il getto ininterrotto dei loro pensieri tradotti più o meno in parole e ne scopriamo il carattere decifrando il loro modo di relazionarsi agli altri.

Non serve a Maria Messina descrivere la vita, le aspirazioni o i progetti di Paola se con un sospiro o un improvviso pallore ne riesce a rendere l’esatto turbamento. L’incertezza, l’inesperienza, gli slanci sono destinati a essere spenti da una doccia gelata.

In questo incarna la definizione che le ha dato Sciascia come “la Mansfield siciliana”, in quanto della scrittrice neozelandese ricalca l’uso dei dialoghi e il metodo narrativo per associazione di idee a loro volta valorizzati dalla forma breve dei racconti.

L’approfondimento psicologico non è un risultato ricercato ma ottenuto con naturalezza attraverso il flusso riversato del pensato, del tutto indipendente dai discorsi pronunciati, sottolineato dall’accostamento per immagini. Con delicatezza tutta femminile Maria Messina riesce a trattare temi difficili pur senza raggiungere i toni troppo crudi di Tozzi.

Il risveglio dall’intorpidimento giovanile per la sua protagonista è infatti brusco e agghiacciante. La letteratura è piena di figure di donne rovinate ed emarginate dalla società perché condannate a espiare una colpa che non è la loro, ma in questo caso Maria Messina è andata oltre, ha espresso la drammaticità estrema di una rinuncia, di una fuga della vita che non proviene dall’esterno, ma da un rigido codice morale talmente assorbito e assimilato da diventare strumento di auto-esclusione, di coercizione interiore. Paola è L’esclusa per sua stessa decisione; non è costretta a portare alcuna lettera scarlatta ma abbraccia di sua volontà il velo.

Il grande pregio che bisogna riconoscere a questa delicata scrittrice che dalla Sicilia ha mosso i primi passi, è di essere riuscita, con apparente semplicità e impalpabile perspicacia, a mettere a nudo il cuore di un essere umano, fragile e deciso allo stesso tempo, che si vede negato il diritto e la libertà di vivere.